farfrittata vegan con tenerumi

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Uno degli effetti della destabilizzazione sentimentale è che non esiste più niente di irrilevante.

Tutto diventa segno, tutto è da decodificare.

Felici i felici, Jasmina Reza

Giorni fa stavo sistemando alcuni scatoloni nella cameretta dove ho vissuto fino al primo anno di università.

Tra vecchie foto delle vacanze in Grecia piedi scalzi e sacco a pelo, braccialettini di conchiglie e perline, lettere sgualcite piene di cuori al posto dei puntini sulle ‘i’, ho ritrovato il diario di allora.

E sì, ho iniziato a leggerlo.

Pagine e pagine di fantasiose ed elaborate teorie sul messaggio da inviare a X, seguite da altrettante pagine sulle motivazioni che potrebbero averlo spinto a non rispondere, tra le quali ovviamente la possibilità che il mio messaggio per qualche disguido tecnico non fosse arrivato a destinazione, oppure viceversa, che il mio telefono avesse subito un blocco ( ovviamente solo per X, perché tutti gli altri arrivavano eccome, infastidendomi non poco perché indebolivano la teoria del complotto del gestore telefonico verso X ). Seguiva lo ‘squilletto’ ( oddio, quanto è anni ’90 fare lo squillo= ‘ciao’, ma anche ‘ti penso’, oppure ‘chiamami’, ‘stava chiamando, ma forse è mancata improvvisamente la linea’, quindi che faccio? Richiamo? .. e anche qui, vai di congetture sulle varie interpretazioni del trillo ) per verificare che la linea effettivamente ci fosse. In effetti c’era. Sì, ma allora perché non risponde? E allora via con oceani di lacrime su quelle pagine del diario, confezioni di kleenex come non ci fosse un domani e drammi che Shakespere ci fa un baffo!

Col tempo poi arriva un’intuizione. La verità è che non gli piaci abbastanza, per dirlo con le parole di un certo film ( se non l’avete ancora visto, rimediare assolutamente! ).

Si pensa di essere rinsaviti, di aver capito ( si, ma che c’era da capire poi? ).

Passa del tempo.

Incontri un altro, ti sorride, gli sorridi.. ( ma avrà sorriso perché pensa di conoscermi? oppure sorride a tutte? ..) e il film riparte. Quello nella nostra mente, eh!

E anche il modo in cui lui toglie la buccia del limone dalla fettina o gioca col cucchiaino da tè nella tazza, diventa un evento denso di significati da interpretare e cui attribuire chissà quali incredibili retro pensieri.

***

Dopo tanto elucubrare, oggi avevo necessità di un piatto semplice.

Dal mio ortolano di fiducia, ho trovato queste foglie: i tenerumi. Da romanticona quale sono, il nome ha fatto subito breccia.

tenerumi

Il fruttivendolo mi ha spiegato che sono le cime più tenere ( da qui il nome ) di alcune varietà di piante di zucchina. Il sapore assomiglia a quello delle cime di rapa. Nonostante sia una pianta piuttosto comune in tutta Italia, il loro uso è conosciuto soprattutto in Sicilia, dove c’è un piatto tipico a base di queste foglie, saltate in padella con la pasta. Ne ha preso un mazzetto e agitandomele davanti al naso mi ha detto che se ne prendevo uno me ne regalava altri due.. poi mi ha pure mostrato, mimando, come pulirli e tagliarli.

Quando il fruttivendolo mi si entusiasma così, c’è poco da fare.

Potevo lasciarle languire lì, dopo questa spiegazione? :-)

Dal momento che evito quando posso il glutine, ho pensato anziché la pasta di provare una far-frittata con farina di ceci e tenerumi. Il risultato? Ditemi voi :-)

INGREDIENTI

un mazzetto di tenerumi bio;

200 gr farina di ceci bio;

450 ml acqua;

1 pizzico di sale marino integrale;

pepe;

1 spicchio d’aglio bio;

olio extra vergine d’oliva bio;

 

Ho mescolato la farina di ceci con l’acqua finché si è formata una pastella piuttosto liquida e senza grumi, aggiunto un pizzico di sale e lasciato riposare mezz’ora. Nel frattempo ho sciacquato i tenerumi, tolto i gambi più coriacei e tagliato il resto in piccoli pezzi, foglie comprese.

Ho fatto saltare in padella qualche minuto i tenerumi con olio, aglio e poco sale, finché le foglie si sono appassite. Ho aggiunto quindi la pastella di ceci e coperto, facendo cuocere a fuoco basso per 20 minuti circa, quando la pastella ha iniziato a solidificarsi.

Ho spolverato con una macinata di pepe e servito la far-frittata fredda.

Che ne pensate?

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La cucina crudista. Di Laura Cuccato e Michele Maino. Edito da Tecniche Nuove. E una novità.

la_cucina_crudista_4679Si sente sempre più spesso parlare di crudismo, ma cosa significa esattamente?

Quali sono gli ingredienti previsti da questo tipo di alimentazione? Quali le lavorazioni che permettono di mantenere ‘intatti’ i cibi?

La cucina crudista di Laura Cuccato e Michele Maino risponde a queste domande, attraverso un libro di crudismo che è anche vegano.

Bene. Togliamo anche carne, uova e latticini. Cosa rimane allora?

Essere crudisti significa mangiare frutta e verdura, germogli e semi e seguire le regole comportamentali dell’igienismo: uno stile di vita che aiuta a disintossicare mente e corpo trattano gli alimenti alla temperatura massima di 45°C.

Nella prima parte del libro vengono descritte le principali operazioni per questo tipo di cucina: fermentazione, marinatura, essiccazione, germogliazione, estrazione di succhi, pulizia e taglio. Vengono poi esaminati alcuni strumenti che possono risultare utili per preparare i cibi, ovvero mixer, estrattori, frullatori, essiccatori ( ehm, messaggio subliminale, tra poco è il mio compleanno, quindi membri della famigghia che siete all’ascolto.. ).

Grande spazio viene dato anche all’arte del condimento, dalle emulsioni ai dolcificanti agli addensanti.

Curiosità: i crudisti duri e puri non usano alcun tipo di salsa di soia perché spesso la soia è transgenica e i fagioli vengono sottoposti a un processo di bollitura. Dopo la bollitura interviene una procedura di fermentazione che rende di nuovo ‘vivo’ l’alimento. Nella filiera industriale si procede poi alla pastorizzazione, che avviene ad alte temperature e quindi ‘cuoce’ nuovamente l’alimento. Alcuni crudisti utilizzano così la nama shoyu ( in giapponese = soya cruda), che è una salsa non pastorizzata. Lo stesso discorso vale per il miso.

Nella seconda parte del libro ci sono le ricette: antipasti, primi, secondi, insalate e ‘formaggi’, pane, crackers, salse e dolci.

Questo libro può essere utile non solo per chi ha scelto un’alimentazione crudista, ma anche per chi, come me, fino a poco tempo fa concepiva il cibo crudo al massimo come un’insalata o una macedonia ( !!! ). Ecco, sfogliando queste ricette mi si è aperto un mondo. E ho scoperto soprattutto l’amore per i dolci crudisti.. per chi non l’avesse notato dalle ultime ricette pubblicate!!!

Credo molto nell’importanza di diffondere testi come questo e portarli a conoscenza anche di chi non è vegano/crudista, quindi partecipo volentieri all’iniziativa del Giovedì del libro di cucina, nata da Annalisa di passatotralemani per condividere consigli, chiacchiere ed esperienze sulla nutrizione e produzione di cibo. L’iniziativa del Giovedì è condivisa anche dal gruppo Facebook Genitori Veg.

Per ci avesse voglia di approfondire l’argomento, sbirciare qualche ricetta o dare il proprio contributo, segnalo il gruppo FB I eat raw, nato da un’idea di Mari di cucinaverdedolcesalata, che ha coinvolto Annalisa di passatotralemani, Daria di Goccedaria e la sottoscritta balena.

Uh, ecco il link: https://www.facebook.com/groups/1496068260624748/

I_eat_raw

Vi aspettiamo numerosi!!!

 

Biancomangiare

biancomangiare

Vedi Nicolò, la gente non è

il mestiere che fa, o i vestiti che porta,

le scarpe che mette, la roba che ha.

E per questo non mi riconosco in questa società:

per me contano i dischi, i bagni nel mare, l’umanità.

Post Punk – I cani

Stamattina metto le cuffie e mi sparo questa canzone dei cani. Gli angoli della bocca girano all’insù e la mente vola ai concertini nei locali fumosi, con l’odore di birra media chiara nei bicchieri di plastica, vino rosso di bassa qualità, muffa, sudore acido e sigarette. Le casse bombardavano musica a diecimila decibel, infatti uscivamo completamente sordi e con le orecchie da Dumbo. Il rimmel colava a tutto spiano ma non ciportava, anzi faceva  rockandroll. L’unica cosa che contava era ballare, chissenefrega se in maniera scomposta ( tanto era buio ) e cantare storpiando il 90 % delle parole ( tanto con tutto quel rumore nessuno si sarebbe accorto ). Poi però il mattino dopo c’era la sveglia puntata alle 7.00, e la fatica di tenere gli occhi aperti davanti alle spiegazioni di matematica.

Viaggio con la musica  mentre mi vedo riflessa nei vetri. Stessi gins di allora, stesse all stars, solo di un altro colore. Stesso trucco sbavato. Solo che oggi più che Courtney Love  mi sento un’esemplare femmina di bradipo ( = sto dormendo in piedi ).

zzzz..

Buongiorno mondo!

***

Oggi cari aficionados propongo una ricetta semplice, di quelle che si possono fare sempre, anche se si è svogliati, non solo nelle occasioni speciali. Niente ingredienti strani o robe sofisticate.

Ho visto questo dolce su una rivista ( D di Repubblica ). Mi ha colpito il nome, Biancomangiare. L’ho riletto almeno due volte per essere sicura di non essermi sbagliata. Il fatto è che il nome evoca qualcosa di bianco, come la neve, e fa rima con Natale. Però siamo a maggio.

Va beh, poco male, c’era chi cantava coriandoli a natale, io propongo il Biancomangiare a maggio.

INGREDIENTI

500 ml di latte di mandorle bio;

50 gr di amido di mais bio;

1 cucchiaio di sciroppo di riso bio o zucchero grezzo di canna bio;

la scorza grattuggiata di mezzo limone bio;

1/2 stecca di vaniglia bio;

Ho sciolto a freddo l’amido di mais in poco latte di mandorla ( circa 1 bicchiere ). Ho aggiunto il resto del latte, la scorza grattugiata di un limone bio, lo sciroppo di riso e la vaniglia e messo sul fuoco. Ho continuato a mescolare finché non si è formata una crema piuttosto densa. Ho versato la crema dentro gli stampini precedentemente inumiditi con acqua fredda e messo in frigo a raffreddare per qualche ora.

Per servire si può guarnire con frutta fresca, caramello o frutta secca ( qui ho usato le mandorle a scaglie ).

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Il sogno di Ilaria. Di Luigi Civita. Illustrazioni di Silvana Verduci. Edito da La Quercia.

Prendi una matita e un righello. Misura e ritaglia un foglio di carta lungo 25 cm e largo 18. Fatto? Ebbene, questa superficie rappresenta l’universo di una gallina allevata in batteria durante tutta la sua esistenza.

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Se l’avessi letto da piccola, questo sarebbe senz’altro diventato il mio libro preferito.

Invece l’ho letto ora, in fase post adolescenziale, e vi confesso che mi ha pure commosso.

L’autore, Luigi Civita, racconta la storia di un’amicizia davvero singolare, quella tra un gatto, un pulcino di nome Piopio e Marzia, una bambina coraggiosa e sensibile che vuole cambiare il mondo.

I tre amici superano le differenze di genere e linguaggio, dimostrando che è possibile andare oltre le barriere  imposte dalla società.

E Ilaria, allora, chi è?

Il titolo del libro fa riferimento alla mamma di Piopio, una gallina ovaiola che vive nella minuscola gabbia di un allevamento. Il suo sogno è razzolare nella terra, annusare l’aria, beccare l’erba. Come farebbe qualunque gallina libera in un ambiente naturale.

Grazie al coraggio di Marzia e all’aiuto dei suoi amici, il sogno di Ilaria potrà avverarsi, chiudendo la storia con un messaggio di speranza e l’invito ai piccoli lettori a rimboccarsi le maniche per un futuro migliore, proprio come ha deciso di fare questa bambina speciale.

Il libro, oltre ad essere la storia di una tenera amicizia che va oltre le differenze, vuole essere uno spunto di riflessione sulle condizioni di vita di oltre 40 milioni di galline italiane, chiuse in gabbie piccole come un foglio di carta, come viene spiegato nell’introduzione a cura della LAV.

Il sogno di Ilaria è il racconto di come un mondo diverso sia possibile, un futuro dai colori pastello come le delicate illustrazioni di Silvana Verduci.

 

aft’RAW’eight vegan (cioccolatini vegan alla menta)

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Piccole gioie ai fornelli.

– ricevere un complimento a tavola dalla persona di gusti difficili, quella che in genere mangia con quell’espressione della bocca a sedere di gallina nemmeno stesse ingurgitando una zuppa di caccole di gnomo e critica sempre tutto perchè o è troppo insipido oppure troppo saporito;

– riuscire a preparare una Signora cena, con i superstiti del frigo.. (dal gambo di sedano agonizzante alla carotina anemica o la lattughina strapazzata);

– comprare formine dei biscotti.. ci sono ragazze che collezionano scarpe, io sono feticista delle formine. Chissà cosa direbbe Freud;

– scoprire che il libro di cucina usato acquistato a un mercatino ha delle note a margine scritte a fianco delle ricette, tra schizzi di sugo e ditate della vecchia proprietaria (hotrovatountesoro);

Ecco. Oggi posso aggiungere alle piccole gioie della cucina, la prima volta che ho autoprodotto della cioccolata.
Chissà quali sono le vostre.. su su che sono curiosa!

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INGREDIENTI

(per circa 15 cioccolatini)

100 gr burro di cacao biologico crudo

80 gr cacao in polvere biologico crudo

1/2 cucchiaio di stevia/sciroppo d’agave (opzionale)

3 cm di bacca di vaniglia barboun biologica

15 foglie di menta bio (una per ogni cioccolatino)

Tempo fa ho acquistato il libro La cucina crudista di Laura Cuccato e Michele Maino, in cui tra le tante ricette mi ha colpito quella per fare la cioccolata. Dalla spiegazione mi sembrava piuttosto semplice, così, una volta trovati tutti gli ingredienti mi sono messa all’opera.

La cioccolata è la mia droga, pensare di autoprodurla in casa in poco tempo e  senza avere chissà quali utensili poi.. roba da non crederci!

Uh. Se non vi piacciono gli aftereight potete utilizzare peperoncino al posto della menta, oppure mischiare alla cioccolata ancora fusa della frutta secca.

Io mi sono aiutata con uno stampo in silicone con le forme a cuore, ma potete usare quello che avete in casa. E’ importante lavarlo prima di utilizzarlo, senza detersivo perchè potrebbe lasciare residui, e asciugarlo molto bene prima di versarvi la cioccolata.

foto(11)Ho preso il burro di cacao e l’ho sciolto lentamente a bagnomaria aggiungendo poco a poco la polvere di cacao cruda. Li ho fatti sciogliere insieme alla stevia e alla vaniglia, fino a ottenere cioccolato fuso.

Nella ricetta originale viene utilizzato lo sciroppo d’agave al posto della stevia. Se vi piace il caratteristico sapore amaro del cioccolato fondente potete anche fare a meno di dolcificare con la stevia o l’agave.

Per valutare se il cioccolato è temperato si fa cadere una goccia sul piano lavoro e se quando si raffredda è lucido allora è il momento di versare il liquido negli stampini.

Io ne ho versato una parte, fino a riempire metà delle formine, poi ho sbattuto leggermente lo stampo sul piano lavoro per evitare il formarsi di bolle d’aria e messo in frigo 5 minuti.

Nel frattempo ho lavato le foglioline di menta e le ho asciugate.

Ho estratto lo stampo dal frigo e controllato che la cioccolata si fosse solidificata. Ho appoggiato uno strato di foglie di menta su ogni formina e poi ricoperto con un altro strato di cioccolato fuso (che è rimasto liquido e non è servito quindi rimetterlo a scaldare a bagnomaria).

Ho rimesso in frigo a solidificarsi eeeee… una volta tirati fuori avevo gli occhi della stessa forma dei cioccolatini!!!!

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linzer cookies vegan (biscotti linzer vegan crudisti con marmellata di albicocche, cocco, limone e vaniglia)

Dove credete che siano andati gli unicorni, gli ippogrifi dagli occhi dolci e mansueti, le sirene gentili e aggraziate? In nessun posto sono sempre qui. E’ solo che non li vediamo.

E. Bencivenga, La filosofia in trentadue favole

LINZER BALENAVOLANTE

Mi chiedo qual’è il momento in cui smettiamo di vedere gli unicorni, gli ippogrifi e le sirene.. quel giorno in cui beviamo tutto d’un fiato la bottiglietta Drink me come l’Alice di Carroll e diventiamo improvvisamente grandi.. quel momento per me non è ancora arrivato.

Almeno, finchè continuo a parlare con gli animali e le piante, lo considero un buon segno.

Fantasticare è uno dei miei passatempi preferiti, da sempre. Da sola, ma anche in compagnia. Gli anziani per esempio sono come una macchina del tempo in carne e ossa, capace di catapultarti in altre epoche in pochi istanti. Inizia il racconto eee… viaaaaa!! Quando ero  piccola per esempio, mia nonna cuciva con la sua vecchia singer accompagnata dall’ago che bucava la stoffa come una mitraglietta e mi raccontava della sua infanzia. In quei pomeriggi invernali, in cui me ne stavo a giocare con la sua scatola dei bottoni o i rocchetti di filo, mangiando il pane con la marmellata di ribes, mi perdevo a viaggiare insieme a lei, nei suoi ricordi.. vedevo lei bambina sull’altalena costruita con un’asse di legno appesa a due corde sul ramo del caco, i bei grappoli di uva fragola abbarbicati sul pergolato, la bici da corsa bianchi appoggiata al muro del fienile, l’accetta conficcata in un ceppo di legno pronto da essere messo via per la stufa, perchè allora mica c’era il riscaldamento.. e.. potrei andare avanti all’infinito, ma non è il caso, sono qui per condividere una ricetta, mica per scrivere una biografia su mia nonna!

Ritorno un attimo con i piedi per terra, giusto il tempo di immaginare la ricetta di oggi, tipo Peter Pan quando è a tavola e davanti al piatto bianco ‘vede’ le portate già pronte, ne sente il profumo, ci si sporca le mani.. poi a un certo punto..

Cos’è questo odore?!

Uh. Ho bruciato la pentolaaa!!! Nuuuoooo!!

 ***

Come avrete capito dalla foto, sono tornata a proporvi un dolce. Una versione crudista dei linzer, biscottoni doppio strato ripieni di marmellata. Io ne vado pazza. Mi vengono gli occhi a cuore solo a vederli. Non vi dico quando li mangio.

INGREDIENTI

(per l’impasto di 4 biscottoni)

125 gr mandorle bio sgusciate non spellate;

1 limone bio;

50 gr uvetta bio oppure stesso quantitativo di datteri bio;

2 cucchiai di cocco secco grattugiato;

1 stecca di vaniglia bio;

(per la raw-marmellata)

50 gr albicocche secche bio (o altra frutta secca a vostro piacere tipo fichi, prugne, mirtilli..)

acqua;

Ho messo ammollo le mandorle in acqua per una notte, per ammorbidirle e facilitare la spellatura.

Le ho frullate con pochissima acqua insieme all’uva sultanina, alla scorza grattugiata di un limone bio, aggiungendo un po’ di vaniglia bourbon (mezza bacca).

Ho formato una palla che ho lasciato riposare mezz’ora per dare tempo ai sapori di fare amicizia.

Nel frattempo ho preparato la marmellata raw frullando le albicocche secche con un po’ d’acqua.

Ho steso l’impasto col mattarello (se risulta un po’ appiccicoso potete mettere un foglio di carta forno tra il mattarello e l’impasto, così non si attacca) e tagliato con la formina.

Sul primo strato di biscotto ho steso un cucchiaio di marmellata e sopra ho messo un secondo strato di bioscotto, che ho poi spolverato con un po’ di cocco grattugiato.

linzer raw e vegan

 

vellutata vegan di cece nero e asparagi.

cece_nero_vegan_vellutata

 

Viaggio nella mia stanza

ai confini della mia stanza

oltre i confini della mia stanza

Viaggio nella mia mente

ai confini della mia mente

oltre i confini della mia mente.

Viaggio nella mia immaginazione

ai confini della mia immaginazione

oltre ogni immaginazione.

Un piede dietro l’altro si forma una traccia senza fine

che si nutre dell’impronta nuova e si porta dietro

la catena dei passi ne faccio una mappa che si adatta

a qualunque spazio e luogo, dove i colori e le forme sono

scelti dalla memoria non è necessario prendere una direzione,

tutte sono disponibili a portarti dove puoi ritrovare le tue

emozioni.

S. Chiesa

 

Stamattina sono uscita a spasso con Medora. Mi sono seduta su una panchina, mentre lei annusava i sederi dei suoi amici quadrupedi e li salutava sbandierando fiera la coda.

Mi cade l’occhio su un foglietto stropicciato di fianco a me.

Curiosa, allungo la mano.

Per un attimo ho pensato che quello scarabocchio, forse, non era lì per caso.

Come quando trovi un libro abbandonato su un sedile del treno, o in una sala d’attesa. Ti guardi intorno. Non c’è nessuno. Lo prendi, con la netta sensazione che sia stato messo lì per te. Perchè tu lo trovassi. Quasi ti aspettassi di leggerci il tuo nome scritto a mano appena girata la copertina.balenavolante

Sì, dev’essere così.

Insomma stiro le pieghe del foglio e ci trovo scritta una poesia, la stessa che ho voluto condividere con voi.

Sono tornata a casa col cuore che batteva forte e gli occhi a stella, tipo cartone animato.

Come se avessi trovato una bottiglia in riva al mare con dentro un messaggio (chi non ha mai sognato, almeno una volta, di trovarne una!?!)

Beh. Grazie, Universo, per questo messaggio inaspettato!

***

Ora però cuciniamo su. Una classica vellutata che fa primavera, con asparagi e patate, ma con un tocco che la rende speciale; per questa vellutata ho voluto infatti usare un ingrediente poco conosciuto, il cece nero.

cece_nero_balenavolanteQuesto legume di antiche origini è molto resistente ed è originario della Murgia. I contadini raccontano che nell’800 veniva dato alle partorienti perchè molto nutriente. In effetti ha un elevato contenuto di ferro, ecco anche il perchè della caratteristica colorazione della buccia.

Le piante si presentano come  cespugli dai fiori rosso-violacei, mentre il legume è più piccolo rispetto ai ceci comuni e ha la buccia irregolare e rugosa, di colore nero. L’interno è di colore bianco-giallo.

Sono molto saporiti e possono essere preparati in diversi modi.

Un avvertimento: tingono l´acqua di cottura di un intenso colore nero!

Per questo ho preferito prepararli a parte (oltre che per i diversi tempi di cottura dell’asparago).

Il cece nero è buonissimo anche da solo, per fare un passato, dell’hummus oppure abbinato ad altri legumi o verdure. Da provare l’abbinamento con la zucca.

INGREDIENTI

(per 2 persone)

500 ml di acqua;

un mazzetto da 300 gr di asparagi freschi bio;

2 patate bio;

1 scalogno;

olio extra vergine bio;

150 cece nero;

miso di riso o salasa di soia tamari o un pizzico di sale integrale bio;

1 pezzettino di alga kombu oppure due foglioline di alloro;

 

Per preparare i ceci li ho messi innanzitutto in acqua per 12 ore.

Poi li ho fatti cuocere in acqua a fuoco medio per circa 1 ora con un pezzettino di alga kombu (circa 3 cm), che aiuta a digerire meglio i legumi. In alternativa potete usare l’alloro, dalle proprietà antifermentative (meno scoregge per tutti, ecco).

Una volta cotti li ho scolati e messi da parte mentre preparavo il resto degli ingredienti.

Ho versato un filo di olio in una pentola e messo lo scalogno tagliato a striscioline ad appassire. Ho aggiunto gli asparagi tagliati a pezzi, le patate pelate e tagliate e l’acqua.

Quando asparagi e patate si sono cotti ho spento il fuoco e frullato fino a ottenere una crema.

Ho impiattato e versato sopra mezzo mestolo di ceci neri.

Per condire ho usato la salsa tamari, ma è buonissimo anche con il miso di riso aggiunto a freddo oppure un pizzico di sale integrale bio e qualche erba provenzale.

 

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Ecocidio. Ascesa e caduta della cultura della carne. Di Jeremy Rifkin. Edito da Oscar Mondadori.

ecocidio_balenavolanteChe senso ha preoccuparsi dell’acqua che si consuma lavandosi i denti se si continua a mangiare carne?

Per chi è abituato a pensare ai problemi ambientali esclusivamente in termini di gas di scarico delle automobili e delle industrie, materiali tossici e radioattivi, probabilmente la dimensione della distruzione ambientale provocata dal moderno allevamento di bestiame costituirà una sorpresa.

Eppure, la devastazione ambientale provocata dall’industria della carne, sovrasta di gran lunga le altre numerose fonti di rischio ambientale, come spiega Jeremy Rifkin in Ecocidio.

Forse non tutti sanno che metà dell’acqua consumata oggi negli Stati Uniti è destinata alle coltivazioni di alimenti per bestiame.

Per produrre un chilo di carne di bovino allevato a cereali sono necessari centinaia di litri d’acqua, che servono all’irrigazione della terra su cui vengono coltivati i foraggi.

L’acqua utilizzata per produrre cinque chilogrammi di carne bovina equivale al consumo domestico di una famiglia americana per un anno.

In altre parole, per produrre un chilogrammo di proteine animali occorre una quantità d’acqua quindici volte superiore a quella necessaria per produrre la stessa quantità di proteine vegetali.

L’incremento continuo della popolazione bovina sta sconvolgendo l’ecosistema del nostro pianeta, distruggendo vastissime zone; l’allevamento di animali per l’industria della carne è la causa principale della riduzione delle poche  foreste pluviali rimaste sulla terra. Per far posto a pascoli vengono abbattute intere foreste, mentre sempre più terre fertili vengono trasformate in deserti.

In Centroamerica e Sudamerica, milioni di ettari di foreste vergini sono stati abbattuti per lasciare spazio a pascoli per il bestiame.

La smisurata crescita di queste mandrie è responsabile anche di gran parte della progressiva desertificazione dell’Africa subsahariana. In nessun altro luogo il problema del pascolo eccessivo è grave come in Africa. Oggi più del 50% della superficie dell’Africa orientale è riservata al pascolo. In alcune zone si trovano fino a 6000 capi di bestiame, su terre che potrebbero a malapena nutrirne 600. Disinteressati alle conseguenze ambientali di lungo periodo, i governi continuano a incoraggiare l’incremento di allevamenti, tanto che oggi il continente africano ospita 186 milioni di bovini: uno ogni tre persone. Delle nove nazioni dell’Africa meridionale, il numero di bovini eccede la capacità di sostentamento della terra in una misura compresa tra il 50 e il 100 %.

Ecocidio è un appello all’umanità a superare la cultura della bistecca; come scrive l’autore nell’introduzione, questo libro è stato scritto nella speranza di contribuire a portare la nostra società oltre la carne.

E’ un libro che fa riflettere, perchè non è più possibile continuare a mangiare senza pensare. Avere piena consapevolezza di ciò che si mangia può sembrare un fardello eccessivo, ma in realtà porta a grandi soddisfazioni, tra le maggiori che si possano provare. Mangiare è un gesto ecologico e politico, perchè nonostante tutti i tentativi di occultare questa semplice verità, il nostro modo di alimentarci determina in gran parte ciò che sarà del pianeta in cui viviamo.

Jeremy Rifkin, laureato in economia, attivista pacifista e ambientalista, fondatore e presidente della Foundation on Economic Trends (FOET) e presidente della Greenhouse Crisis Foundation, ha scritto numerosi saggi tradotti in oltre 20 lingue. Rifkin interviene periodicamente come opinionista su numerosi giornali europei tra i quali il  britannico The Guardian, lo spagnolo El Pais,  il Suddeutsche Zeitung in Germania e L’Espresso in Italia.

Crema di tarassaco (dente di leone) e pratoline; festeggiamo il premio Foodblog Award con una ricetta Flower Power

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“Quando ero piccola stavo sempre in giardino e cercavo le coccinelle.. ma non le trovavo mai.. un giorno ero stanca e mi addormentai sul prato, quando mi svegliai ero piena di coccinelle.. coccinelle dappertutto!”

Frances (Diane Lane) in Sotto il sole della Toscana

 

Stamattina vista la giornata di sole sono andata a fare una scampagnata con Medora.

Lei ha corso come una lepre su e giù per i prati, in estasi per il risveglio della Natura.

Abbiamo ascoltato il vento che cambia e l’aria sbarazzina di marzo.

Ci siamo appisolate nel verde, con le coccinelle e brucaliffi fosforescenti a farci il solletico. Ho sognato tanti colori e che cadevo.

Poi mi sono svegliata, ho raccolto un po’ di tarassaco (chiamato anche dente di leone) e alcune pratoline, gli ingredienti del nostro pranzo di oggi!

***

Fin qui ho sempre mangiato i denti di leone crudi in insalate primaverili, in aggiunta ad altre verdure a foglia verde, per mitigarne il sapore amarognolo.

Oggi volevo preparare qualcosa di nuovo e così mi sono messa a spulciare su vecchi libri di cucina, dove ho scoperto tantissime ricette a base di queste piante, molto apprezzate anche per le note proprietà depurative e diuretiche (nella tradizione contadina il tarassaco è infatti chiamato anche piscialletto!).

Dei denti di leone non si butta via davvero nulla!tarassaco_balenavolante

I boccioli si possono mettere sottaceto, come i capperi, mentre con i fiori si ottiene una salsa ottima come condimento sulla pasta. C’è anche chi li usa fritti in pastella o per farne una marmellata (apprezzata soprattutto in medioriente). Con le radici essicate è possibile ottenere un caffè.
Con le foglie è possibile fare zuppe, decotti, minestre, far-frittate (per la frittata vegan, ovvero senza uova, vedi qui) e anche un ottimo pesto.

Noi oggi abbiamo preparato una crema che fa subito primavera.. ed è anche depurativa, che male non fa :-)

INGREDIENTI

mezzo litro d’acqua;

250 gr di foglie di tarassaco;

3 patate biologiche;

1 porro intero;

1 cipolla bio;

1 pezzetto di radice di zenzero;

mezzo cucchiaino di pepe nero bio;

1 cucchiaino di curcuma bio;

per guarnire fiori commestibili a piacere (io qui ho usato fiori di rosmarino e pratoline appena colte e ben lavate);

olio extra vergine di oliva biologico;

sale integrale bio;

Ho messo a dorare la cipolla con un po’ d’olio extravergine e aggiunto le spezie e le foglioline di tarassaco. Ho aggiunto le patate sbucciate e fatte a pezzi, il porro intero (anche radici e fusto), lo zenzero pelato e l’acqua.

crema_tarassaco_balenavolanteHo lasciato sobbollire per circa 15 minuti, poi ho controllato che le patate fossero cotte e spento il fuoco.

Ho frullato tutto fino a ottenere una crema, assaggiato e aggiunto un po’ di sale.

Ho servito con qualche fiore fresco di rosmarino, pratoline e un filo di olio extra vergine.

Questa zuppa volendo può essere servita con dei crostini di pane e condita con salsa tamari o miso al posto del sale.

Eh, ma che succede.. sei ancora qui? Di solito la balenavolante finisce la foodblogger_awardricetta e subito svolazza via.. ma oggi no, non poteva essere una giornata come tutte le altre, e nemmeno questo post vuole esserlo! Oggi ne approfitto per ringraziare Alice Grandi, del blog www.ricettevegolose.com, che mi ha assegnato il graditissimo premio foodblogger award, che assegno a mia volta ad alcuni blog che mi piace sbirciare :-)

www.notedicucina.com

www.cosamangianoivegani.wordpress.com

www.mangiovegano.blogspot.it

www.enjoylifeblog.com

Quinoa con zucca, anice e cocco.

“Quando avevo 5 anni, mia madre mi ripeteva sempre che la felicità è la quinoa_rossa_zucca_butternut_cocco_anicechiave della vita. Quando andai a scuola, mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi “felice”. Mi dissero che non avevo capito il compito, e io dissi loro che non avevano capito la vita.”

John Lennon

Da piccola quando mi chiedevano cosa mi sarebbe piaciuto fare da grande non avevo le idee molto chiare.

Le mie compagne volevano fare la maestra, l’infermiera e la ballerina. Io sognavo di fare quella che va in Antardide a difendere i cuccioli di foca dai cacciatori.

Ma che mestiere è?!

Magari in tedesco esiste una sola parola per definirlo. Non mi stupirebbe visto che esiste addirittura una sola parola per dire ‘persona che si infila i guanti per tirare palle di neve’ (handschuhschneeballwerfer)!

Beh.

Ancora non so cosa voglio fare da grande..

..di certo so che voglio essere felice.

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Ricettina?

INGREDIENTI

(per due persone con un buon appetito!)

zucca butternut

200 gr di zucca bio (io ho usato la Butternut);

250 gr quinoa rossa bio;

2 cucchiai di cocco essiccato in scaglie bio;

1 cipolla bianca bio;

1 cucchiaino di anice bio;

1 cucchiaino di curcuma;

1 cucchiaino di pepe nero;

1 cucchiaino di peperoncino bio;

olio extravergine di oliva bio;

sale integrale bio;

Ho sciacquato la quinoa e messa a bollire per 20 minuti circa. Per la quantità d’acqua mi regolo così: per ogni bicchiere di quinoa aggiungo 2 bicchieri e mezzo di acqua.

Trascorsi i 20 minuti ho spento il fuoco e lasciato il coperchio.

In una padellona a parte ho fatto dorare una cipolla tagliata finemente in olio extravergine d’oliva. Ho aggiunto i semi di anice macinati, le scaglie di cocco, il peperoncino, la curcuma, il pepe e per ultima la zucca tagliata a dadini.

Ho fatto ammorbidire la zucca, a fuoco lento, aggiungendo un po’ d’acqua e lasciando il coperchio.

Quando la zucca è risultata morbida ho aggiunto la quinoa e mescolato a fuoco basso per un paio di minuti, così da amalgamare i sapori. Ho aggiustato di sale e lasciato riposare a fuoco spento qualche minuto.quinoa_rossa_zucca_anice_cocco

Con questa ricetta partecipo alla raccolta Salutiamoci, nata da un’idea di Brii, Lo, Cobrizo, Stella e Ravanella che viene ben riassunta dalle loro parole:

La sfida consiste nel cucinare qualcosa di buono, bello e soprattutto sano, alla scoperta di nuovi ingredienti nel rispetto della loro stagionalità, approfondendo la conoscenza del rapporto tra cibo e salute, ed evitando soprattutto facili scorciatoie industriali o scelte che prediligano solo l’occhio o il palato senza tener conto della salubrità nel lungo termine.

Questo mese l’iniziativa è ospitata da Daria, su goccedaria.it, con l’ingrediente del mese, ovvero la quinoa.

salutiamoci300

NB:Avvertimento:  L’abbinamento zucca-cocco-anice crea elevata dipendenza!