Uno degli effetti della destabilizzazione sentimentale è che non esiste più niente di irrilevante.
Tutto diventa segno, tutto è da decodificare.
Felici i felici, Jasmina Reza
Giorni fa stavo sistemando alcuni scatoloni nella cameretta dove ho vissuto fino al primo anno di università.
Tra vecchie foto delle vacanze in Grecia piedi scalzi e sacco a pelo, braccialettini di conchiglie e perline, lettere sgualcite piene di cuori al posto dei puntini sulle ‘i’, ho ritrovato il diario di allora.
E sì, ho iniziato a leggerlo.
Pagine e pagine di fantasiose ed elaborate teorie sul messaggio da inviare a X, seguite da altrettante pagine sulle motivazioni che potrebbero averlo spinto a non rispondere, tra le quali ovviamente la possibilità che il mio messaggio per qualche disguido tecnico non fosse arrivato a destinazione, oppure viceversa, che il mio telefono avesse subito un blocco ( ovviamente solo per X, perché tutti gli altri arrivavano eccome, infastidendomi non poco perché indebolivano la teoria del complotto del gestore telefonico verso X ). Seguiva lo ‘squilletto’ ( oddio, quanto è anni ’90 fare lo squillo= ‘ciao’, ma anche ‘ti penso’, oppure ‘chiamami’, ‘stava chiamando, ma forse è mancata improvvisamente la linea’, quindi che faccio? Richiamo? .. e anche qui, vai di congetture sulle varie interpretazioni del trillo ) per verificare che la linea effettivamente ci fosse. In effetti c’era. Sì, ma allora perché non risponde? E allora via con oceani di lacrime su quelle pagine del diario, confezioni di kleenex come non ci fosse un domani e drammi che Shakespere ci fa un baffo!
Col tempo poi arriva un’intuizione. La verità è che non gli piaci abbastanza, per dirlo con le parole di un certo film ( se non l’avete ancora visto, rimediare assolutamente! ).
Si pensa di essere rinsaviti, di aver capito ( si, ma che c’era da capire poi? ).
Passa del tempo.
Incontri un altro, ti sorride, gli sorridi.. ( ma avrà sorriso perché pensa di conoscermi? oppure sorride a tutte? ..) e il film riparte. Quello nella nostra mente, eh!
E anche il modo in cui lui toglie la buccia del limone dalla fettina o gioca col cucchiaino da tè nella tazza, diventa un evento denso di significati da interpretare e cui attribuire chissà quali incredibili retro pensieri.
***
Dopo tanto elucubrare, oggi avevo necessità di un piatto semplice.
Dal mio ortolano di fiducia, ho trovato queste foglie: i tenerumi. Da romanticona quale sono, il nome ha fatto subito breccia.
Il fruttivendolo mi ha spiegato che sono le cime più tenere ( da qui il nome ) di alcune varietà di piante di zucchina. Il sapore assomiglia a quello delle cime di rapa. Nonostante sia una pianta piuttosto comune in tutta Italia, il loro uso è conosciuto soprattutto in Sicilia, dove c’è un piatto tipico a base di queste foglie, saltate in padella con la pasta. Ne ha preso un mazzetto e agitandomele davanti al naso mi ha detto che se ne prendevo uno me ne regalava altri due.. poi mi ha pure mostrato, mimando, come pulirli e tagliarli.
Quando il fruttivendolo mi si entusiasma così, c’è poco da fare.
Potevo lasciarle languire lì, dopo questa spiegazione? 
Dal momento che evito quando posso il glutine, ho pensato anziché la pasta di provare una far-frittata con farina di ceci e tenerumi. Il risultato? Ditemi voi 
INGREDIENTI
un mazzetto di tenerumi bio;
200 gr farina di ceci bio;
450 ml acqua;
1 pizzico di sale marino integrale;
pepe;
1 spicchio d’aglio bio;
olio extra vergine d’oliva bio;
Ho mescolato la farina di ceci con l’acqua finché si è formata una pastella piuttosto liquida e senza grumi, aggiunto un pizzico di sale e lasciato riposare mezz’ora. Nel frattempo ho sciacquato i tenerumi, tolto i gambi più coriacei e tagliato il resto in piccoli pezzi, foglie comprese.
Ho fatto saltare in padella qualche minuto i tenerumi con olio, aglio e poco sale, finché le foglie si sono appassite. Ho aggiunto quindi la pastella di ceci e coperto, facendo cuocere a fuoco basso per 20 minuti circa, quando la pastella ha iniziato a solidificarsi.
Ho spolverato con una macinata di pepe e servito la far-frittata fredda.
Che ne pensate?











Ho preso il burro di cacao e l’ho sciolto lentamente a bagnomaria aggiungendo poco a poco la polvere di cacao cruda. Li ho fatti sciogliere insieme alla stevia e alla vaniglia, fino a ottenere cioccolato fuso.




Questo legume di antiche origini è molto resistente ed è originario della Murgia. I contadini raccontano che nell’800 veniva dato alle partorienti perchè molto nutriente. In effetti ha un elevato contenuto di ferro, ecco anche il perchè della caratteristica colorazione della buccia.
Che senso ha preoccuparsi dell’acqua che si consuma lavandosi i denti se si continua a mangiare carne?

Ho lasciato sobbollire per circa 15 minuti, poi ho controllato che le patate fossero cotte e spento il fuoco.
ricetta e subito svolazza via.. ma oggi no, non poteva essere una giornata come tutte le altre, e nemmeno questo post vuole esserlo! Oggi ne approfitto per ringraziare Alice Grandi, del blog www.ricettevegolose.com, che mi ha assegnato il graditissimo premio foodblogger award, che assegno a mia volta ad alcuni blog che mi piace sbirciare 



















