Di gente che parla da sola, vestaglie maculate, novità e una ricetta raw: involtini di radicchio ripieno di mela, noci e polvere di carrube

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Torno dopo un po’ di assenza dal blog: sapete che mi siete mancati, sì?

Questa è l’ultima ricetta che preparo nella mia attuale casina, prima di traslocare! Si chiude un ciclo, così ho pensato di organizzare una cena per festeggiare e ringraziare questo posto che ci ha ospitato in quest’ultimo anno.. io, il mio compagno, Medora e i gattoni.

Diverse cose mi mancheranno.. persino il mini fornetto che all’inizio detestavo! In particolare sarà strano da domani non avere più i vicini a cui sono ormai affezionata, dalla Fra con cui parliamo affacciate alle finestre urlando come due fruttivendole al mercato, a Naomi il mio vicino che mi saluta ogni mattina con la vestaglia maculata e trucco che neanche Donatella Versace alla notte degli Oscar, con la musica delle Spice Girls e Britney Spears a palla (ehm, a pensarci bene di questo forse non sentirò la mancanza…!).. uh, e il signor Luigi, il guardiano della colonia di gatti proprio qui sotto casa, che ogni tanto esce con certe perle di saggezza che poi mi restano in testa per giorni. Ma soprattutto, mi mancherà Lei. La Grigia.

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La Grigia è un’ospite della colonia. Uno dei gatti più anziani, per essere precisi. Quella con più esperienza. La si riconosce per il pelo arruffato e lo sguardo da setiavviciniseimorto. Per un intero anno mi ha snobbata, nonostante tutti i miei tentativi di avvicinarla.. ho provato ad allungarle bocconcini prelibati, parlarle spiegandole con voce amichevole che ioumanaamicadeigatti.. tra l’altro lei si nascondeva dietro un cassonetto e spesso la gente che passava mi vedeva parlare ad alta voce da sola come una un po’ svalvolata.

Insomma, avrei anche provato ad azzardare qualche carezza, ma il fatto è che lo sguardo minaccioso non era dei più invitanti. Poi appena provavo ad avvicinarmi un po’ di più, lei scappava. Alla fine ho rinunciato per non disturbarla.

Nelle ultime settimane però, da quando ho saputo del trasloco, ho riprovato qualche timido approccio. Il più delle volte era di luna storta, ma un giorno è accaduto un miracolo che mi ha imbottito il cuore di gioia. Sua Maestà La Grigia mi ha concesso di grattarle la testa! Mi sono sciolta.. è stato il nostro saluto. Credo comunque non vedesse l’ora di sbarazzarsi di me che le facevo le vocine, mettendola in imbarazzo di fronte al resto della colonia…

Bene, ora che sapete della Grigia.. ricettina?

Questi involtini sono stati appositamente pensati per un contest, quello per festeggiare i due anni di cucinaverdedolcesalata.

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Il fatto curioso è che, mi sono resa conto, da quando ho aperto il blog (e sono passati 4 anni) ho partecipato a un solo contest. Lo scorso anno. Ed era stato organizzato sempre da lei, Mari. Forse i miei ritmi sono questi, come un bradipo della Papua Nuova Guinea che scende dall’albero una volta l’anno, per il contest di Mari, poi se ne torna lentamente sulla sua pianta a poltrire..!?!

INGREDIENTI

(PER 6 INVOLTINI)

-6 foglie di radicchio rosso tenero bio;

-1 mela bio (io ho usato la varietà Pink Lady, croccante e leggermente asprina);

-6 noci bio;

-1 cucchiaino di polvere di carrube bio;

-3 cucchiai olio evo bio;

-1 pizzico sale integrale bio;

-1 carota bio lunga;

Ho tagliato a pezzi la mela, condita con olio, sale e polvere di carrube e mescolata alle noci tritate grossolanamente.

Ho usato questi ingredienti per farcire le foglie di radicchio, che ho chiuso ad involtino utilizzando delle striscioline di carota, ottenute con un attrezzino per fare gli spaghetti di verdura. E’ simile a un pelapatate e piuttosto economico/facile da reperire!

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***

Qualche tempo fa vi avevo parlato (qui) della mia gita al Vegfest di Londra, uno dei maggiori festival vegan d’Europa, ricordate? Avevo promesso di raccontarvi tutto di questo meraviglioso evento e ho mantenuto la promessa: sul nuovo numero di Funny Vegan (il n. 12), dove trovate un mio resoconto dettagliatissimo e tante foto <3

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Questo mese la Balenina è andata a fare un giro da una persona speciale, Vale di Naturalentamente.it! Se già non conoscete il suo sito, vi invito ad andare a trovarla, si respira un’aria rilassata e ci si sente accolti come a casa! Insieme abbiamo chiacchierato di decrescita, autoproduzione, e un po’ di me.. se vi va di leggere questa intervista, ecco il link!

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il segreto di Tom Ossobuco. Di Fulvia degl’Innocenti. Illustrazioni di Roberto Lauciello. Edizioni Il gioco di leggere.

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C’è un gran trambusto al 17 di Via dei Cipressi.

La cosa non passa inosservata ad Al Scannabuoi, il dirimpettaio, visto che il numero 17 è stato a lungo abbandonato; in passato già diverse persone hanno provato ad aprire un negozio proprio lì, ma dopo poco fallivano! Che sia perchè quel numero è maledetto, come vociferano in paese?

Sfidando la maledizione e la concorrenza di Al Scannabuoi, Tom Ossobuco e sua moglie, decidono di aprire una macelleria proprio lì, al numero 17. Gli occhi del villaggio sono tutti puntati sulla saracinesca..

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L’inaugurazione del ‘Paradiso della salsiccia’ si rivela un successo, così come i giorni seguenti, in cui la fila di clienti diventa sempre più lunga, tanto da attirare l’invidia di Al Scannabuoi, che non riesce più a vendere nemmeno una bistecca.

Il fatto è che le polpette e salsicce di Tom Ossobuco sono buonissime. Non solo, pare abbiano addirittura proprietà miracolose! Nel villaggio si sparge presto la voce, ormai tutti si chiedono quale sia il segreto di Tom..

E voi, l’avete capito?

Ora, non vorrei svelare il segreto, perchè uno degli aspetti che conquistano di questo libro è proprio la suspence che sa creare, quindi vi basti qui sapere che Tom Ossobuco, nonostante il nome, ama moltissimo gli animali, e di certo non farebbe mai loro del male! (e di certo non trovereste la recensione di un libro che promuove macellerie qui sulla balenina!!)

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Lascio a voi scoprire il segreto di Tom Ossobuco, attraverso le coloratissime illustrazioni di Roberto Lauciello!

Una fiaba divertente, che affronta con leggerezza temi importanti come l’alimentazione e l’importanza di andare oltre le apparenze e i pregiudizi.

***

E voi, quali libri consigliereste a un genitore che vuole spiegare la scelta vegan ai propri figli?

Qui sulla balenina ne trovate alcuni, ma sono sempre curiosa di scoprirne di nuovi!

Aspetto i vostri suggerimenti ;-)

alla ricerca di una frolla vegan e senza glutine, traslochi, e nuovi progetti. Un po’ Merlino e un po’ Panda (ma poco Kung fu).

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I mesi autunnali per me sono un momento di bilanci e nuovi progetti che mi piace annotare nel mio quaderno a fiorellini; secondo un recente studio, pare infatti che il 42% delle persone raggiunge più facilmente i propri obbiettivi dopo averli scritti.

Partiamo da un bilancio. Che poi è diventato un ‘buon proposito‘ per l’anno che mi aspetta.

Proprio ora infatti mi trovo al termine di un esperimento che mi ha visto mangiare per tre mesi da vegana senza glutine. Durante questo percorso ho avuto modo di ascoltarmi, vedere come reagiva il mio corpo e la mente, mettermi alla prova. Tutto questo col desiderio di dimostrare a me stessa e agli altri che è possibile essere vegani e celiaci senza morire di fame o diventare degli eremiti o doversi nutrire di bacche rare che crescono solo sulle vette più alte dell’Himalaya. Ho scoperto che, come per ogni cambiamento, è una questione di abitudini e scelte. In tal caso per me ha significato imparare a vedere oltre il bordo del mio piatto e non considerare le mie abitudini ormai consolidate come misura per tutte le cose.

Intanto, non sapevo che in un’alimentazione senza glutine non c’è bisogno di rinunciare alla pasta, perchè ne esiste di buonissima a base di mais e riso praticamente in qualunque supermercato (anche quelli piccoli) e a buon prezzo. Ho persino scoperto delle basi per pizza senza glutine già pronte, se proprio non si ha voglia di farsela in casa (per quella io seguo la ricetta di Feli). Risolta la questione pasta e pizza, il percorso per me è andato in discesa, e ha portato alla conquista della certezza che essere vegani e celiaci è assolutamente possibile e nemmeno così complicato come si potrebbe pensare. Se volete dare un occhio a cosa ho mangiato in questo periodo, ecco un’idea della mia colazione e pasti, anche fuori casa.

Ora che l’esperimento è finito, il mio ‘buon proposito’ per il futuro è continuare a mangiare senza glutine, salvo concedermi qualche eccezione ogni tanto, per esempio durante occasioni mondane (che poi, non ho certo l’agenda fitta di impegni di una rock star..) se proprio non trovassi alternative (pizza senza glutine o pasta).

***

Cambiando per un attimo argomento, apro una parentesi perchè vorrei ringraziare di cuore tutte le persone che mi hanno scritto ultimamente per avere notizie, da quando la città dove vivo è stata colpita dall’alluvione. Come alcuni di voi già sanno, ho avuto qualche problemino con la casetta dove vivo.. nel senso che ho usato le padelle per raccogliere l’acqua che scendeva dal tetto, più che per cucinare… avete presente la torre di mago Merlino nella Spada della roccia? Ecco.

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In realtà convivevamo già da tempo con qualche perdita dal tetto..  dove vivo ora i palazzi sono piuttosto datati, questo dona loro un fascino unico, ma spesso questo si traduce in impalcature dentro casa che reggono soffitti, costellati da muffa, infiltrazioni e caduta libera di calcinacci… con l’alluvione la faccenda è degenerata e ci siamo ritrovati con le padelle in giro per casa a raccogliere la pioggia che entrava a catinelle… spavento a parte, il trauma maggiore è stato vedere il nostro quartiere invaso dal fango, le vetrine distrutte, negozi chiusi… in parte compensato dall’emozione di vedere tantissime persone comuni inforcare stivaloni di gomma al ginocchio e agguantare pale per spalare fango e aiutare sconosciuti che in questi giorni hanno perso tutto.

Ora ci aspetta un trasloco (il terzo in tre anni!!). Guardandomi indietro vedo come le nostre tane siano cresciute con noi.. nell’ultimo anno siamo cambiati molto insieme e nei percorsi individuali, forse era arrivato il momento di cambiare guscio.

I primi giorni non realizzavo, ma ora inizio a percepire che in un certo senso anche questa difficoltà può essere vissuta come un’occasione che la vita ci ha messo davanti per aiutarci a migliorare e a crescere.

Comunque, la mia reazione a questi ultimi eventi è stata cercare di coccolarmi il più possibile. Sono persino andata dal parrucchiere, cosa che non facevo da 4 anni. Mi sono fatta la frangetta. Poi mi sono pentita. Avevo portato la foto di una modella stra gnocca. Sono uscita con una cotonatura alla Lilly Gruber. Negli anni ’80. E mi sono ricordata che circa ogni 4 anni ricado nello stesso identico errore di andare dal parrucchiere e fare la frangia. Poi quando cresce ho un’amnesia e ci ricasco.

frangia gnocca

frangia gruber

Soprattutto ho affrontato la situazione come mi riesce meglio, ovvero entrando in modalità Kung fu panda. No, non mi sono iscritta a un corso di arti marziali. Intendevo che quando Po è sconvolto, mangia.

KungFu panda mangia

Solo che lui dopo batte il grande campione Taj Lung. Io invece mi ritrovo a traslocare col girovita di un panda all’ingrasso!

Comunque, tornando all’argomento del post, la conquista più grande del periodo vegan e senza glutine per me sono stati i dolci. Perchè all’inizio non capivo come si potesse assemblare un impasto senza glutine. Sperimentare è stato divertente, alla ricerca di biscotti che si inzuppassero o di una frolla che fosse proprio come quella della nonna.. solo senza uova, latte, burro, farina e zucchero raffinati… insomma, trasformare la fantascienza in realtà.

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Oggi, tra uno scatolone e l’altro, condivido con voi queste crostatine. Io le ho fatte piccine perchè ho un mini fornetto, ma già le immagino in versione extra large, delle belle crostatone guarnite dalle vostre marmellate di frutta preferita.

Mettetevi comodi. C’è una crostatina per ciascuno di voi, anche per ringraziarvi dei messaggi e incoraggiamenti che mi avete mandato… siete stati davvero preziosi… e mannaggia mi commuovo pure… cià passiamo alla ricetta che sennò qui facciamo concorrenza a Carramba *-* <3

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 INGREDIENTI

(per 2 crostatine)

BASE

30 gr farina nocciole bio;

70 gr farina di riso integrale bio;

30 gr amido di mais bio;

30 gr zucchero integrale grezzo di canna;

30 gr tahin;

1/2 cucchiaino di cannella bio;

latte vegetale q.b.

FARCITURA

-3 cucchiai di marmellata (io ho usato quella di cachi di cucinaveganspiegatalmiocane. Ed è subito autunno!!)

Ora, come vedete tra gli ingredienti NON c’è BURRO, NON ci sono UOVA nè GLUTINE. Vi chiederete come caspita fa a venir fuori un impasto decente.

Me lo chiedevo anch’io. Poi sono rimasta di sasso: questo impasto è una cannonata, non gli manca davvero nulla. Tra l’altro si presta benissimo anche per biscotti da inzuppo.

Il mio compagno mi ha addirittura chiesto se ci avevo messo dentro il burro 0_o!!!

Procedimento:

Ho mischiato gli ingredienti secchi e aggiunto prima il tahin e poi tanto latte vegetale quanto basta a formare una pallina compatta ed elastica.

L’ho stesa col mattarello e poi adagiata nelle formine, tenendo da parte un po’ di impasto per le striscioline.

Ho farcito con la marmellata e guarnito con le striscioline e messo in forno 15 minuti.

In tutto, da quando ho iniziato a preparare le crostatine a quando le ho sfornate, è trascorsa poco più di mezz’ora.

Ditemi un po’, se le provate mi dite che ne pensate?

tè con merlino

Seconda puntata del diario ‘vegan & gluten free': dopo la colazione (vedi post precedente), il pranzo!

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Cari aficionados, come state?

Torno dopo qualche vagabondaggio che mi ha portato lontana dal blog per più tempo del solito.. mi siete mancati!!

Presto vi racconterò dove mi ero cacciata, chi mi segue su FB forse ha già intuito di cosa sto parlando ghgh..

Ma non divaghiamo, eccomi qui a condividere con voi un altro pezzo del mio ‘diario alimentare’. Ricordate il mio esperimento? Tre mesi con i mocassini di una vegana celiaca? Se non avete idea di cosa sto blaterando, date un occhio qui.

Oggi sono trascorsi circa 2 mesi e mezzo da quando ho iniziato questo percorso e, dopo aver condiviso con voi il mio nuovo modo di iniziare la giornata, vorrei raccontarvi di come è cambiata l’organizzazione dei miei pranzi.

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Uh, nel frattempo ho anche trovato un libro che mi ha dato qualche spunto molto interessante. Pensate: un ricettario interamente vegan e gluten free! Lo conoscete? Si intitola Great gluten free vegan eats, di Allyson Kramer. Prossimamente condividerò qui sul blog la recensione ;-)

Comunque, dicevo, il pranzo. Un tempo, quando portavi il cibo da casa, quasi ti guardavano strano. Oggi pare sia diventato di moda; il pranzo al sacco è diventato bento box, dal nome giapponese dei contenitori col tappo in plastica, oppure lunch box. Esistono numerosi libri di ricette a proposito, spesso caratterizzati da pietanze a forma di coniglietto o gattino.. Ecco, il mio invece assomiglia più alla borsa di Mary Poppins, da cui emerge una quantità di vivande tale da far impallidire un matrimonio calabrese.

Quella del prepararsi il mangiare a casa la trovo un’ottima abitudine, sia per risparmiare e anche per variare menù.

Che poi, a dirla tutta, il cibo preparato a casa, dalle nostre mani, ha decisamente un sapore diverso.

Per i miei pranzi vegan e senza glutine ho optato per cibi facili da confezionare, comodi quindi da portare con me dentro a dei contenitori. Ce n’è per tutte le esigenze (e per ogni tasca).  Alcuni esempi?

-quando voglio ottenere il massimo risultato col minimo sbattimento: mi porto della frutta. Unica accortezza: cerco di seguire gli abbinamenti ‘giusti’ ( a proposito mi è stata molto utile una tabella, che potete vedere qui );

-quando voglio giocare il jolly: far frittata (è una ‘frittata’ vegan, in cui al posto delle uova si usa la farina di ceci mischiata con acqua per ottenere la pastella) con verdure diverse a seconda della stagione (dalle zucchine con timo e menta, al cavolo nero saltato con aglio, ai tenerumi) e contorno di verdure crude oppure cotte a vapore;

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-quando sono ricca (perchè purtroppo non è esattamente economica..): insalata di quinoa come questa;

-quando sono presa benissimo e mi sento creativa: involtini di verdure grigliate ripieni di hummus o di altra salsa (baba ganoush oppure salsa di carote marocchina);

-quando ho voglia di pasta: perchè no!? Ho scoperto dell’esistenza di un’ottima pasta di riso e mais 100%vegan. La vendono praticamente ovunque, anche nei piccoli supermercati, a prezzi competitivi. Oltretutto è davvero buona, perchè tiene bene la cottura, anche le sottomarche che ho provato. Quando la preparo a fine cottura la raffreddo nello scolapasta sotto l’acqua corrente per qualche minuto. Poi la condisco con pomodorini, olive, capperi e basilico oppure altre verdure fresche o saltate in padella;

-quando mi voglio viziare (opzione molto gettonata): pizzette (realizzate con l’infallibile ricetta di Felicia);

-quando piove e fa freddo e io ho solo voglia di tana: passata di verdure, magari con l’aggiunta di riso o patate, per renderla più cremosa (eccone alcune ricette qui e qui), come la ricetta che vi propongo oggi;

-quando dopo pranzo non devo rimettermi subito a lavoro e anzi è consentito abbiocco senza ritegno: peperonata con contorno di leg-burger (burger di legumi);

-quando mi prende quel languorino di un non so che di etnico: spaghettini di riso saltati nella wok con verdurine e conditi con salsa di soia e zenzero;

-quando ho voglia d’estate: insalata di riso integrale condita con olive, capperi, basilico, pomodorini, cipollotto e olio evo;

-quando sono salutista: insalatone di verdure di stagione magari abbinate a germogli e semi (per me soprattutto girasole e sesamo, i miei preferiti) e condite con olio evo;

E voi, avete qualche idea di pranzetto vegan e senza glutine da condividere? Su su non siate avari di suggerimenti!!!!

IL PIANO B.

Perché sì, sono umana anch’io, quindi capita di svegliarmi di soprassalto 5 minuti dall’ora prevista in cui dovrei già essere sull’autobus. In quei casi il tempo per confezionarsi un pasto decente è fuori discussione. È già tanto se tolgo il pigiama. Più probabilmente infilo sopra qualcosa, col pigiama sempre lì, che sbuca fuori.

Arriva l’ora di pranzo e mi tocca andare a mangiare fuori.

No panic.

Per me che vivo in una città multietnica il cibo esotico mi viene in aiuto. All’indiano trovo riso con legumi e spezie o curry di verdure, mentre al cinese posso ordinare spaghetti di riso con verdure saltate (come quelli in foto qui sotto). Al ristorante giapponese in genere chiedo zuppa di miso (con alghe e tofu) e sushi vegan (i rotolini con l’alga esterna e dentro riso e avocado oppure cetriolo).

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In alternativa se trovo un fruttivendolo faccio il pieno di frutta di stagione bio, e poi in un qualunque supermercatino cerco della frutta secca tipo fichi o mandorle per la merenda (che cerco comunque di avere sempre in borsa).

Se non si ha a disposizione nessuna di queste opzioni, quasi in ogni bar è possibile chiedere un’insalatona.

Oggi la ricetta che vorrei condividere con voi è una vellutata semplice, a base di carote e patate, resa particolare dall’aroma della salvia e dalle lenticchie nere Beluga, un legume che ancora non conoscevo e che ho trovato di recente (di origine italiana gente, io le ho prese di Viterbo, ma provengono soprattutto dalla Sicilia).

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Spero che vi piaccia ;-)

INGREDIENTI

(per 2 persone)

2 cipolle rosse bio;

3 carote medie bio;

2 patate bio;

1 litro d’acqua;

1 pizzico di sale integrale bio;

4 foglioline di salvia bio;

1 bicchiere di lenticchie nere Beluga (oppure rosse decorticate o altro tipo) bio;

1 spicchio d’aglio;

1 foglia d’alloro;

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In un pentolino ho versato l’acqua, le cipolle tagliate finemente, le carote e le patate tagliate a tocchetti,  la salvia e ho lasciato sobbollire finchè le verdure si sono cotte. A quel punto ho spento il fuoco e frullato tutto, aggiustando di sale.

A parte ho fatto cuocere le lenticchie nere in acqua con uno spicchio d’aglio e una fogliolina d’alloro (per il metodo nostrano che aiuta a evitare gonfiori, si aggiunge una foglia di alloro ai legumi durante la cottura, o se preferite potete usare l’alga kombu). Una volta cotte le ho scolate e aggiustate di sale, aggiungendole alla vellutata.

Per guarnire ho usato delle foglioline di salvia e aggiunto una macinata di pepe e un filo di olio extra vergine d’oliva.

Peace food. I benefici fisici e spirituali dell’alimentazione vegana. Di Rudiger Dahlke. Con 30 ricette vegane di Dorothea Neumayr. Edizioni Mediterranee

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In quale misura il cibo influenza il nostro benessere fisicospirituale?

Rudiger Dahlke, medico del digiuno e naturopata, fondatore del Centro di Guarigione Olistica di Johanniskirchen, autore di Peace food, i benefici fisici e spirituali dell’alimentazione vegana ( Edizioni Mediterranee, 250 pp, 2014 ), indaga come raggiungere una maggiore centratura fisica e spirituale, in equilibrio con noi stessi e l’ambiente che ci circonda.

In particolare Dahlke esamina l’importanza della scelta alimentare, affermando che il cibo ideale è vivo e crudo, da preferire agli alimenti ‘morti’, ossia di origine animale o sottoposti a trattamenti di raffinazione.

Chi mangia carne infatti incorpora, nel senso letterale del termine, anche la sofferenza e il tormento degli animali. Non solo. A un livello più ampio, sul piano spirituale, porre fine alla carneficina degli animali costituirebbe un enorme alleggerimento per l’umanità, in particolar modo ovviamente per quanti ingegneri progettano i macchinari della morte dei mattatoi, per i proprietari, i dirigenti, gli azionisti, per la grande quantità di persone direttamente coinvolte all’interno degli animalifici, per i trasportatori e i macellai. Nella restante popolazione spesso questi mestieri provocano ripugnanza.Perché allora non dovrebbe ripugnarci l’esito finale di tutta questa catena, ovvero la bistecca nel nostro piatto?

All’inizio del 2011 trecento docenti universitari tedeschi hanno preteso apertamente l’abbandono delle pratiche zootecniche intensive. “Nell’allevamento di massa gli animali vengono trattati secondo modalità che dovrebbero essere fonte di vergogna per la nostra società”, così inizia il loro appello.

Peace food è stato scritto con lo scopo di fare un passo avanti verso un mondo migliore, come scrive Dahlke nell’appendice al libro, dove racconta quando, dopo una visita allo zoo di Berlino decise di dedicare la propria vita a liberare gli animali dalle gabbie, non solo quelle visibili, ma anche quelle nascoste alla nostra vista, quelle degli allevamenti.

Personalmente mi sono ritrovata molto nelle sue parole, quando descrive il senso di sollievo nel non contribuire quantomeno col proprio comportamento a tutto lo strazio dell’allevamento intensivo e l’importanza della parola, scritta o sotto forma di dialogo con gli altri, per tentare di ridurre il dramma cui sono sottoposti gli animali a causa del nostro ‘non vedere’.

( immagine tratta dal web )

( immagine tratta dal web )

I primi capitoli sono dedicati ad esplorare alcune delle malattie più frequenti dei Paesi occidentali ( problemi cardiovascolari, colesterolo, tumori, malattie autoimmuni, obesità, diabete ed osteoporosi ), partendo da studi scientifici che dimostrano la loro correlazione con il consumo di alimenti di origine animale, tra cui in particolare The China study di Colin Campbell.

L’autore prosegue esaminando la condizione degli animali destinati al macello. La lettura in questa parte si fa più ‘pesante’, perché tale è la condizione degli allevamenti ( molte delle testimonianze riportate da Dahlke in questa parte sono tratte da Se niente importa, di Safran Foer ). Leggere queste pagine è duro come può esserlo il confronto con l’Ombra, scrive Dahlke, dal momento che gli attuali mattatoi e l’industria della carne ci mettono davanti alla nostra Oscurità più profonda.

Il grado di crudeltà imperante nella fabbriche di animali non è immaginabile per la maggior parte di noi neppure nel peggiore degli incubi. L’unico nostro desiderio è non rivolgervi lo sguardo, non vedere e neppure percepirne la realtà e l’importanza.

Il confronto con questa parte risulta però necessario, dal momento che volendoci liberare dalla condizione malata del nostro mondo, dobbiamo innanzitutto affrontarla.

Su cento animali di cui ci nutriamo, novantotto provengono da un allevamento intensivo e non hanno mai nemmeno vissuto. Non hanno mai visto prati, sole o cielo. Eppure veniamo spinti al loro consumo ( e quindi ‘manipolati’ ) grazie a immagini idilliache di belle fattorie. Ci mostrano mucche pacifiche che pascolano su prati montani, contadini che chiamano per nome i propri animali: immagini che vogliono passare il messaggio di un ‘mondo sano’ e un ‘amore per la terra’ da cui ci lasciamo abbindolare per giustificare l’orrore.

Gli animali di cui ci nutriamo vegetano dentro capannoni in cui sono rinchiusi per poter acquisire quanto più peso possibile nel minor tempo. Animali sotto stress, spaventati a morte, senza spazio fisico e vitale, privati della dignità di Esseri Viventi.

Peace food è un titolo che richiama alla pace, perché anziché continuare a dichiarare guerra al nostro corpo, agli altri esseri umani, agli animali e alla Terra, abbiamo la possibilità di portare pace e realizzarla mangiando.

A ogni pasto abbiamo la possibilità di scegliere tra prodotti di origine cruenta e raccolti agricoli, tra guerra e pace. Si tratta di una scelta di estrema rilevanza, nella misura in cui viene compiuta tre volte al giorno e oltre mille ogni anno: quindi all’incirca 80.000 volte nel corso della vita.

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L’uomo medio, nella moderna società occidentale, consuma nel corso della sua vita circa 20.000 animali.

V’è in questo strazio una buona notizia, scrive Dahlke, ossia la certezza di poter salvare fino a 20.000 animali grazie a una semplice decisione presa tempestivamente. Qualora questa scelta avvenisse a metà della nostra vita, salveremmo pur sempre 10.000 creature.

Ogni singolo individuo, quindi, con le sue personali decisioni, esercita una notevole influenza.

Nella terza parte del libro, l’autore esamina i vantaggi di una dieta vegan non solo a livello fisico, ma anche spirituale ed energetico. La vita degli animali in allevamento spesso è ancor più crudele della loro morte ed è importante diventare consapevoli delle conseguenze anche spirituali di quanto stiamo infliggendo loro, perché chi mangia animali ne incorpora anche la sofferenza, la conterrà dentro di sé, trascinandosela addosso.

Chiude il libro un ricettario vegan a cura di Dorothea Neumayr, talentuosa cuoca insignita del celebre cappello Gault Millau. Ingredienti vegetali il più possibile integrali e freschi, preferibilmente acquistati da un contadino di fiducia e stagionali. E’ questa la spesa ideale per uno stile di vita sano e ricette vegane etiche e gustose, assolutamente da provare!

Io per ora ho sperimentato la sua insalata con pomodori e pesche, la stessa che ho condiviso con voi nello scorso post ;-)

E voi? Avete già letto questo libro? E se sì, che ne pensate? Su su non siate timidi, sono curiosa dei vostri pareri!

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farfrittata vegan con tenerumi

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Uno degli effetti della destabilizzazione sentimentale è che non esiste più niente di irrilevante.

Tutto diventa segno, tutto è da decodificare.

Felici i felici, Jasmina Reza

Giorni fa stavo sistemando alcuni scatoloni nella cameretta dove ho vissuto fino al primo anno di università.

Tra vecchie foto delle vacanze in Grecia piedi scalzi e sacco a pelo, braccialettini di conchiglie e perline, lettere sgualcite piene di cuori al posto dei puntini sulle ‘i’, ho ritrovato il diario di allora.

E sì, ho iniziato a leggerlo.

Pagine e pagine di fantasiose ed elaborate teorie sul messaggio da inviare a X, seguite da altrettante pagine sulle motivazioni che potrebbero averlo spinto a non rispondere, tra le quali ovviamente la possibilità che il mio messaggio per qualche disguido tecnico non fosse arrivato a destinazione, oppure viceversa, che il mio telefono avesse subito un blocco ( ovviamente solo per X, perché tutti gli altri arrivavano eccome, infastidendomi non poco perché indebolivano la teoria del complotto del gestore telefonico verso X ). Seguiva lo ‘squilletto’ ( oddio, quanto è anni ’90 fare lo squillo= ‘ciao’, ma anche ‘ti penso’, oppure ‘chiamami’, ‘stava chiamando, ma forse è mancata improvvisamente la linea’, quindi che faccio? Richiamo? .. e anche qui, vai di congetture sulle varie interpretazioni del trillo ) per verificare che la linea effettivamente ci fosse. In effetti c’era. Sì, ma allora perché non risponde? E allora via con oceani di lacrime su quelle pagine del diario, confezioni di kleenex come non ci fosse un domani e drammi che Shakespere ci fa un baffo!

Col tempo poi arriva un’intuizione. La verità è che non gli piaci abbastanza, per dirlo con le parole di un certo film ( se non l’avete ancora visto, rimediare assolutamente! ).

Si pensa di essere rinsaviti, di aver capito ( si, ma che c’era da capire poi? ).

Passa del tempo.

Incontri un altro, ti sorride, gli sorridi.. ( ma avrà sorriso perché pensa di conoscermi? oppure sorride a tutte? ..) e il film riparte. Quello nella nostra mente, eh!

E anche il modo in cui lui toglie la buccia del limone dalla fettina o gioca col cucchiaino da tè nella tazza, diventa un evento denso di significati da interpretare e cui attribuire chissà quali incredibili retro pensieri.

***

Dopo tanto elucubrare, oggi avevo necessità di un piatto semplice.

Dal mio ortolano di fiducia, ho trovato queste foglie: i tenerumi. Da romanticona quale sono, il nome ha fatto subito breccia.

tenerumi

Il fruttivendolo mi ha spiegato che sono le cime più tenere ( da qui il nome ) di alcune varietà di piante di zucchina. Il sapore assomiglia a quello delle cime di rapa. Nonostante sia una pianta piuttosto comune in tutta Italia, il loro uso è conosciuto soprattutto in Sicilia, dove c’è un piatto tipico a base di queste foglie, saltate in padella con la pasta. Ne ha preso un mazzetto e agitandomele davanti al naso mi ha detto che se ne prendevo uno me ne regalava altri due.. poi mi ha pure mostrato, mimando, come pulirli e tagliarli.

Quando il fruttivendolo mi si entusiasma così, c’è poco da fare.

Potevo lasciarle languire lì, dopo questa spiegazione? :-)

Dal momento che evito quando posso il glutine, ho pensato anziché la pasta di provare una far-frittata con farina di ceci e tenerumi. Il risultato? Ditemi voi :-)

INGREDIENTI

un mazzetto di tenerumi bio;

200 gr farina di ceci bio;

450 ml acqua;

1 pizzico di sale marino integrale;

pepe;

1 spicchio d’aglio bio;

olio extra vergine d’oliva bio;

 

Ho mescolato la farina di ceci con l’acqua finché si è formata una pastella piuttosto liquida e senza grumi, aggiunto un pizzico di sale e lasciato riposare mezz’ora. Nel frattempo ho sciacquato i tenerumi, tolto i gambi più coriacei e tagliato il resto in piccoli pezzi, foglie comprese.

Ho fatto saltare in padella qualche minuto i tenerumi con olio, aglio e poco sale, finché le foglie si sono appassite. Ho aggiunto quindi la pastella di ceci e coperto, facendo cuocere a fuoco basso per 20 minuti circa, quando la pastella ha iniziato a solidificarsi.

Ho spolverato con una macinata di pepe e servito la far-frittata fredda.

Che ne pensate?

foto (1)

 

Torta raw vegan al caramello salato di datteri e cioccolato. Raw baking guide to a smarter way to snak di Karolina Eleonòra. E una novità.

torta_caramello_raw

“L’utopia è come l’orizzonte..

cammino due passi e si allontana due passi,

cammino dieci passi e si allontana dieci passi.

L’orizzonte è irraggiungibile.

E allora a cosa serve l’utopia?

A questo: serve per continuare a camminare.”

( E. Galeano )

Quando avevo 18 anni ho scelto di non mangiare più animali e successivamente ho eliminato anche i derivati, diventando vegana. Allora mi sentivo un pesce fuor d’acqua, perché questa scelta era vista come una stranezza. Roba da hippy pallidi ed emaciati, in un periodo in cui i figli dei fiori non erano certo di moda. Col tempo però molte delle persone che conosco si sono avvicinate a questo tipo di alimentazione. Tra queste le mie coinquiline, amici, vicini di casa, parenti e anche mia mamma, che oggi ha fatto da modella per la foto con i datteroni, quella con le mani in primo piano ( vedi più avanti ) ;-)

A volte non dormo la notte pensando alle cose di cui sono diventata consapevole ( e ancora tante ne voglio approfondire ), come le torture inflitte agli animali schiavi negli allevamenti.

Eppure, per quanto a volte non sia facile fare i conti con tutto l’orrore che ho impresso negli occhi, sono felice di non essermi fermata al gesto meccanico di mettere un barattolo nel carrello senza chiedermi come è stato prodotto.

Quattro anni fa nasceva la balenavolante, ovvero la condivisione di un percorso attraverso un mezzo potente come internet, per uscire dalla cerchia ristretta di amici e parenti. Di questo timido progetto all’inizio erano al corrente poche persone: la mamma ( prima osservatrice discreta, poi assidua commentatrice e sostenitrice ), i miei tre gatti e Medora, le mie coinquiline, qualche amico e un paio di avventurieri della blogosfera, capitati da queste parti in maniera assolutamente casuale.. cercavo un modo per condividere la mia scelta etica con altri, soprattutto con chi la pensa diversamente da me.

Oggi più di cinquecento persone sostengono questo spazio!

Per ringraziarvi, cari aficionados, immagino di recapitarvi una fetta di questa super tortazza vegan e crudista a domicilio! Tra l’altro oggi cade anche il mio compleanno, oltre a quello della balena! Doppi festeggiamenti allora, con una cena a casa con famiglia pelosa e non :-)

Per la ricetta ho tratto ispirazione dal libro di Karolina Eleonòra, chef svedese di dolci crudisti, A RAW BAKING GUIDE TO A SMARTER WAY TO SNACK ( per chi non la conoscesse, date un occhio al suo blog:  www.loveraw.blogspot.it  e al suo sito: www.therawdessertkitchen.com! Ne approfitto per ringraziare Sissa, del blog www.lasissa.blogspot.it, che me l’ha fatto conoscere qualche tempo fa! ).

Le ricette riguardano più che altro snack ( dolcetti, barrette, truffles, biscottini, macaroons ) e sono accompagnate da una favolosa guida con 33 trucchi del mestiere per dolci da urlo. Un esempio? Nei dolci al cioccolato raw, per ottenere un gusto più deciso, è possibile combinare metà dose di polvere di carrube con metà cacao; in alcuni casi è poi possibile sostituire il cacao con la carrube. Se risultasse troppo dolce per i nostri gusti, possiamo aggiungere un po’ di tahin, bilanciando con un tocco amaro la dolcezza naturale della carrube.

cioccolato-raw

raw-snack

Per la torta ho assemblato la base di uno snack con il caramello salato di un altro dolcetto e il top dei brownies in foto, aggiustando le dosi ed eliminando alcuni ingredienti, lucuma & company per capirci, che qui al mercato non si trovano.. e il burro di arachidi, che ho preferito sostituire con del tahin autoprodotto. Trovare noccioline non tostate né salate è un’impresa, almeno dalle mie parti! Per chi volesse cimentarsi con l’autoproduzione, se non avete necessità di preparare una versione raw, si possono benissimo utilizzare anche le noccioline tostate, da frullare come nell’esempio qui sotto del tahin.

Il libro è interessante e le foto molto curate, l’unico neo potrebbe riguardare la reperibilità di certi ingredienti, ma nella guida con i 33 ‘segreti del mestiere’, Karolina spiega come sostituirli con altri di uso più comune. Per chi conosce l’inglese e ama i dolci, questa guida è un must.

karolina
INGREDIENTI

per la base ( 20 cm di diametro ):

100 gr mandorle non tostate bio;

150 gr anacardi non tostati bio;

200 gr datteri diamante bio  ( detti anche Medjoul );

 

per il caramello di datteri salato:

450 gr datteri diamante bio (detti anche Medjoul ) ammollati;

5 cucchiai di tahin autoprodotto;

1 pizzico di sale integrale bio;

 

 

per la copertura al cioccolato:

200 gr i datteri diamante ( detti anche Medjoul ) bio;

100 gr di cacao raw in polvere bio;

150 ml latte di cocco autoprodotto bio;

1 pizzico di sale integrale bio;

 

per la decorazione:

una spruzzata di polvere di carrube e caco raw;

frutta di stagione ( io ho scelto dei lamponi e ribes );

 

Per autoprodurre il tahin, ho frullato 200 gr di semi di sesamo non tostati bio con 1 cucchiaio di olio  semi di girasole bio spremuto a freddo. Alcuni lo frullano con acqua anziché con olio ( es. http://thehealthyeatingsite.com/how-to-make-raw-tahini/ ); io scelgo l’olio per ottenere una consistenza più cremosa, che meglio si adatta all’uso che ne faccio ( dolci o hummus di ceci ). Con l’acqua rimane più liquido, risultando più simile a una pappetta.

Il procedimento richiede un po’ di tempo, per evitare di surriscaldare infatti occorre azionare il frullino per qualche istante, poi spegnere, attendere e ripetere finché si ottiene una crema. All’inizio si ottiene una consistenza granulosa, ma andando avanti diventerà sempre più cremosa.

Per autoprodurre il latte di cocco, mi rifaccio a una vecchia ricetta pubblicata su veganhome ( eccola qui ). Parto dalla noce di cocco ( preferibilmente del commercio equo e solidale Fairtrade ). Grattugio la parte bianca, la misuro in tazze per facilitare il calcolo dell’acqua da aggiungere ( il doppio di acqua rispetto al cocco ). Lascio il cocco grattugiato ammollo per circa 1 ora, poi con un colino a maglie strette o uno strofinaccio filtro il latte e lo conservo in frigo. Anche lo ‘scarto’ può essere conservato per produrre dolci o altri piatti.

foto

“Le cose belle, sono lente!”

( cit. dal film Pane e tulipani )

Ho frullato gli ingredienti della base fino a ottenere un impasto appiccicoso, che ho pressato nella tortiera ottenendo una base di mezzo centimetro.

Ho frullato gli ingredienti del caramello salato e versato sulla base, precedentemente messa in frigo a riposare.

Ho frullato gli ingredienti della crema al cacao, fino a ottenere un composto denso e budinoso e l’ho versata sulla torta.

Ho lasciato in frigo a solidificare  e poi ho cosparso la superficie con della polvere di carrube raw e dei lamponi del mio terrazzo, ma ci stanno bene anche albicocche, pesche, fragole..

furbytorta_raw_vegan

Novità:

  • Questo mese, sul n.9 di Fanny vegan, rivista 100%vegan, ci sono anch’io con un reportage dall’India ricco di foto e curiosità sulla cucina del Rajastan e non solo! ( Ricordate il lungo viaggio nella terra dei maraja di cui vi avevo parlato? Qualcosa avevo scritto anche qui e qui ).

Dove trovare la rivista?

Ecco tutte le info a questo link: http://www.funnyvegan.com/compra-la-rivista-funny-vegan/

funny-vegan

  • Per chi volesse seguire la balenavolante anche altrove, vi segnalo che è nato il profilo instagram ( #balenavolante )  e la pagina FB! Vi aspetto!

La cucina crudista. Di Laura Cuccato e Michele Maino. Edito da Tecniche Nuove. E una novità.

la_cucina_crudista_4679Si sente sempre più spesso parlare di crudismo, ma cosa significa esattamente?

Quali sono gli ingredienti previsti da questo tipo di alimentazione? Quali le lavorazioni che permettono di mantenere ‘intatti’ i cibi?

La cucina crudista di Laura Cuccato e Michele Maino risponde a queste domande, attraverso un libro di crudismo che è anche vegano.

Bene. Togliamo anche carne, uova e latticini. Cosa rimane allora?

Essere crudisti significa mangiare frutta e verdura, germogli e semi e seguire le regole comportamentali dell’igienismo: uno stile di vita che aiuta a disintossicare mente e corpo trattano gli alimenti alla temperatura massima di 45°C.

Nella prima parte del libro vengono descritte le principali operazioni per questo tipo di cucina: fermentazione, marinatura, essiccazione, germogliazione, estrazione di succhi, pulizia e taglio. Vengono poi esaminati alcuni strumenti che possono risultare utili per preparare i cibi, ovvero mixer, estrattori, frullatori, essiccatori ( ehm, messaggio subliminale, tra poco è il mio compleanno, quindi membri della famigghia che siete all’ascolto.. ).

Grande spazio viene dato anche all’arte del condimento, dalle emulsioni ai dolcificanti agli addensanti.

Curiosità: i crudisti duri e puri non usano alcun tipo di salsa di soia perché spesso la soia è transgenica e i fagioli vengono sottoposti a un processo di bollitura. Dopo la bollitura interviene una procedura di fermentazione che rende di nuovo ‘vivo’ l’alimento. Nella filiera industriale si procede poi alla pastorizzazione, che avviene ad alte temperature e quindi ‘cuoce’ nuovamente l’alimento. Alcuni crudisti utilizzano così la nama shoyu ( in giapponese = soya cruda), che è una salsa non pastorizzata. Lo stesso discorso vale per il miso.

Nella seconda parte del libro ci sono le ricette: antipasti, primi, secondi, insalate e ‘formaggi’, pane, crackers, salse e dolci.

Questo libro può essere utile non solo per chi ha scelto un’alimentazione crudista, ma anche per chi, come me, fino a poco tempo fa concepiva il cibo crudo al massimo come un’insalata o una macedonia ( !!! ). Ecco, sfogliando queste ricette mi si è aperto un mondo. E ho scoperto soprattutto l’amore per i dolci crudisti.. per chi non l’avesse notato dalle ultime ricette pubblicate!!!

Credo molto nell’importanza di diffondere testi come questo e portarli a conoscenza anche di chi non è vegano/crudista, quindi partecipo volentieri all’iniziativa del Giovedì del libro di cucina, nata da Annalisa di passatotralemani per condividere consigli, chiacchiere ed esperienze sulla nutrizione e produzione di cibo. L’iniziativa del Giovedì è condivisa anche dal gruppo Facebook Genitori Veg.

Per ci avesse voglia di approfondire l’argomento, sbirciare qualche ricetta o dare il proprio contributo, segnalo il gruppo FB I eat raw, nato da un’idea di Mari di cucinaverdedolcesalata, che ha coinvolto Annalisa di passatotralemani, Daria di Goccedaria e la sottoscritta balena.

Uh, ecco il link: https://www.facebook.com/groups/1496068260624748/

I_eat_raw

Vi aspettiamo numerosi!!!

 

Pasticceria naturale senza zucchero, latte, burro e uova. Di Pasquale Boscarello. Edito da Terra Nuova.

pasticceria-naturale-boscarelloDopo aver sfogliato le 226 ricette dolci di questo libro, non so voi, ma a me è venuta una gran voglia di preparare una super tortazza voluttuosa, ricoperta da crema al cioccolato.. anzi no, dei biscotti croccanti e saporosi.. o meglio ancora un soffice plum cake da inzuppare la mattina nel latte d’avena o di riso.

Insomma, mettetela come volete, ma dopo averlo letto sarà difficile trattenersi dal mettersi ai fornelli e sperimentare  uno dei tantissimi dolci proposti.

Oltretutto volete mettere la soddisfazione di strafocchiarsi ‘ a cuor leggero’?

In queste preparazioni infatti non ci sono burro, nè latte nè uova.

Gli animali ringraziano.

E anche l’interno coscia.

Scusate se è poco.

 

Ma figurati,  i dolci vegani non sapranno di niente..

Forse è questo il pensiero di molti che non hanno mai assaggiato un dolce vegan. All’inizio, quando mi sono approcciata a questo stile di vita, in parte lo pensavo anch’io. Temevo che essere vegan volesse dire nutrirsi solo di cose dai nomi strani e impronunciabili, che so, muschi e licheni che crescono solo sulle vette più alte dell’Himalaya, bacche dell’Amazzonia o vischiosi centrifugati di alghe. Nonostante questo, ero disposta a tutto, anche a cogliere io stessa quelle bacche, se fosse stato il solo modo al mondo per non nutrirmi dei miei fratelli animali.

Insomma, non immaginavo che un vegano potesse mangiare cose comuni, meno che mai pensavo fosse possibile preparare pasticcini, panettoni, colombe, ciambelle senza utilizzare derivati animali. E se anche fosse stato possibile, questi di certo avrebbero assunto un sapore orrendo. Di carta. Erano gli anni in cui finito il liceo classico partivo per la Grecia convinta che parlassero il greco che avevo studiato sui libri a scuola. Lo stesso di Aristotele. Insomma, ero piuttosto naiv.

Col tempo per fortunami sono dovuta ricredere su tutto, e con grande gioia ho scoperto che eliminare burro, latte e uova non significa togliersi il piacere di gustare dolci. Anzi.

Questo libro descrive l’arte della pasticceria naturale, rispettando perfino i principi dello yin e yang, con una sezione dedicata anche ai celiaci e agli intolleranti al lievito, con spiegazioni e ingredienti semplici, che possono essere alla portata di tutti, sia per le preparazioni base come creme, impasti rustici, frolla, sia per ricette più elaborate, dalla pastiera napoletana al pandolce, dalla sacher al tiramisù.

Del resto Pasquale Boscarello ha cominciato a impastare pane e dolci biologici nel 1977, a Londra e questo volume è nato dalla sua trentennale esperienza nel settore.

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Credo molto nell’importanza di diffondere testi come questo e portarli a conoscenza anche di chi non è vegano, quindi partecipo volentieri all’iniziativa del Giovedì del libro dicucina, nata da Annalisa di passatotralemani per condividere consigli, chiacchiere ed esperienze sulla nutrizione e produzione di cibo. L’iniziativa del Giovedì è condivisa anche dal gruppo Facebook Genitori Veg.

 

Il sogno di Ilaria. Di Luigi Civita. Illustrazioni di Silvana Verduci. Edito da La Quercia.

Prendi una matita e un righello. Misura e ritaglia un foglio di carta lungo 25 cm e largo 18. Fatto? Ebbene, questa superficie rappresenta l’universo di una gallina allevata in batteria durante tutta la sua esistenza.

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Se l’avessi letto da piccola, questo sarebbe senz’altro diventato il mio libro preferito.

Invece l’ho letto ora, in fase post adolescenziale, e vi confesso che mi ha pure commosso.

L’autore, Luigi Civita, racconta la storia di un’amicizia davvero singolare, quella tra un gatto, un pulcino di nome Piopio e Marzia, una bambina coraggiosa e sensibile che vuole cambiare il mondo.

I tre amici superano le differenze di genere e linguaggio, dimostrando che è possibile andare oltre le barriere  imposte dalla società.

E Ilaria, allora, chi è?

Il titolo del libro fa riferimento alla mamma di Piopio, una gallina ovaiola che vive nella minuscola gabbia di un allevamento. Il suo sogno è razzolare nella terra, annusare l’aria, beccare l’erba. Come farebbe qualunque gallina libera in un ambiente naturale.

Grazie al coraggio di Marzia e all’aiuto dei suoi amici, il sogno di Ilaria potrà avverarsi, chiudendo la storia con un messaggio di speranza e l’invito ai piccoli lettori a rimboccarsi le maniche per un futuro migliore, proprio come ha deciso di fare questa bambina speciale.

Il libro, oltre ad essere la storia di una tenera amicizia che va oltre le differenze, vuole essere uno spunto di riflessione sulle condizioni di vita di oltre 40 milioni di galline italiane, chiuse in gabbie piccole come un foglio di carta, come viene spiegato nell’introduzione a cura della LAV.

Il sogno di Ilaria è il racconto di come un mondo diverso sia possibile, un futuro dai colori pastello come le delicate illustrazioni di Silvana Verduci.